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Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Tiflologia per l'Integrazione

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Numero 3 del 2002

Titolo: PARTICOLARITÀ’ AFFETTIVE E SESSUALI DELLE PERSONE MINORATE DELLA VISTA(1)

Autore: Claude Schepens *


Articolo:
Per me, “particolarità” non vuol dire anormalità, è ovvio. Ogni handicap produce una reazione emotiva, e successivamente compare la rappresentazione della diversità della persona in rapporto alla norma.
Si può agire sdrammatizzando i problemi, coscientizzando, informando. In altri termini, si può reagire ragguagliando il congiunto e soprattutto informando la persona disabile visiva sulla maniera di “funzionare” sul piano affettivo, maniera a volte differente, ma non necessariamente anormale. Il cieco è stato a lungo il prototipo dell’handicap, percepito come un modello di saggezza... o come un pozzo di perversità, considerato talvolta come un portatore di talenti eccezionali e altre volte come appartenente a un altro mondo. Egli affascina, e risveglia la curiosità, ciò che spiega forse il gran numero di ricerche scientifiche che lo riguardano.
Il cieco è rapportato alla visione, questa parola “vedere”, “visione”, che ritorna nelle espressioni correnti. Esiste tutta una simbologia della vista: “andare a vedere/trovare le ragazze” (in francese il verbo “voir” ha il doppio significato di vedere e di rendere visita, ndt), “fare gli occhi dolci”, “gustarsi l’occhio”, “tenerlo d’occhio”...
La visione è apprendere il mondo a distanza, mentre il tatto incolla all’oggetto.
Al bambino si dice: “Non toccare, è sporco”, “Tocca con gli occhi”, e sono inoltre di uso comune le espressioni “divorare con gli occhi”, “guardare le cose in faccia”, “far abbassare gli occhi a qualcuno”... Onnipotenza dello sguardo, fino al complesso di Edipo!
La cecità esercita un impatto profondo sulla persona e sul suo entourage. Dirò qualche parola sui sostituti emotivi nel cieco.
La vista è il senso più evoluto, la base delle principali emozioni in chi vede, pur sapendo bene che essa non è la sola fonte di emozioni: ci sono anche i suoni e i rumori... che definirei processi più o meno trascurati dai vedenti. Lo stesso avviene con le immagini tattili. L’immagine nel cieco è spesso semplificata in vista dell’azione, è generica. La bellezza di un viso, checché se ne dica, lascia un cieco relativamente indifferente. Per contro, la stretta di mano può sostituire il primo sguardo: essa può essere calda, timida, aggressiva... Si tratta però di un modo di contatto che è momentaneo ed esso non permette la ripetizione. Non si può dire “Mi ridia la mano”!
Per non parlare dell’importanza della voce umana che varia di altezza, d’intensità, d’inflessione... producendo qualche cosa di molto individualizzato, trasmettendo freschezza, fascino, acidità...
Una “fononomia” sostituisce la fisionomia che sfugge al cieco.
Esistono altri suoni: la maniera di tossire, la maniera di starnutire... ma nonostante ciò, il cieco ha minori possibilità di controllo. Bisognerebbe aggiungere l’odore, che è importante quale elemento eventualmente rassicurante. In poche parole, grazie a dei processi suppletivi, il possesso fisico di un essere da parte di un cieco può risultare intenso.
Vorrei distinguere i ciechi dalla nascita dai ciechi tardivi, parlandovi brevemente di questi ultimi, i quali restano psicologicamente dei vedenti.
Nel caso dei ciechi dalla nascita, può prodursi nel corso dell’adolescenza una curiosità tinta di tristezza: “Che cosa significa vedere?”, e si registrano anche delle situazioni di vissuto negativo. Ma nei ciechi tardivi, la cecità è un vero terremoto. Poi ci sono tutti gli avvenimenti che suscitano e che prolungano la pena della cecità: perdita dell’immagine di sé, dipendenza, i numerosi stigma che accompagnano i ciechi, [la potenza dello sguardo altrui rivolto su di sé]...
A proposito del lutto - se ne parla molto, ma non è un tentativo di banalizzazione? - preferisco parlare di accettazione dinamica.
Personalmente, ho esaminato nel corso della mia carriera circa cinquemila persone minorate della vista e non ho mai incontrato un cieco che abbia totalmente digerito la sua sofferenza. Egli può raggiungere un sufficiente grado di accettazione, può vivere la propria diversità, ma ci saranno sempre dei momenti di ribellione innescati da avvenimenti scatenanti: essersi perso in città, un pasto “impossibile”... un chiamare continuamente in causa la menomazione in ogni momento cruciale della vita.
Ecco alcuni termini di riferimento per questo lavoro di lutto: una fase di siderazione, uno stadio di percezione oggettiva dell’handicap (aspetto positivo) o di negazione dell’handicap (aspetto negativo), uno stadio di depressione-aggressività (annientamento suicida della personalità) o di rivendicazione eccessiva... “Ho preso coscienza del mio handicap e cerco di adattarmici”: apprendimento del Braille, dell’uso del bastone, perdita di slancio vitale...
Per quanto concerne le difficoltà psico-sociali, vi parlerò di quelle che si verificano in rapporto all’ambiente.
Come altri portatori di handicap, il cieco è vittima di ciò che viene chiamato l’odio primario: la madre può avere voglia di uccidere questo bambino che non corrisponde alle sue attes



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