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Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Tiflologia per l'Integrazione

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Numero 3 del 2002

Titolo: MEMORIE TIFLOLOGICHE

Autore: Enrico Ceppi


Articolo:
IL GIUOCO COME
INDAGINE PSICOLOGICA
In “Ragazzi ciechi” di A. Romagnoli

Fermo restando il principio che la personalità non possa essere scissa in zone indipendenti o comunque separabile in scompartimenti a scopo sia terapeutico come educativo, noi intendiamo analizzare, alla luce delle esperienze psicopedagogiche di A. Romagnoli, alcuni aspetti della personalità evolutiva del bambino cieco.
L’intento da cui prendiamo le mosse è ben preciso e definito, non avendo noi in animo di edificare alcunché di nuovo o di personale, ma limitandoci semplicemente ad esporre e a commentare quei principi da cui originano le moderne pratiche educative vigenti negli istituti dei ciechi. L’esposizione comporta sempre una certa presa di posizione e questo perché essa abbia un valore attivo e dimostri, nell’atteggiamento critico di chi la esegue, una vitalità indicativa dell’attualità della materia. Quando ci si propone di esprimere dei principi che reggano la struttura di un metodo, si determina un processo di identificazione tra chi ha pensato e attuato i principi e chi intende, mediante l’esposizione e illustrazione, farli rivivere. Ogni metodo, se vuole uscire dall’angusta cerchia di una intuizione personale e circoscritta ad un particolare momento dell’evoluzione di un qualsiasi processo spirituale, deve poter ammettere una esposizione critica e deve possedere in sé quegli elementi di progresso che consentono ai continuatori di innestare le proprie esperienze sui principi, di trarre dai principi stessi la giustificazione e la spinta a proseguire. Il metodo del Romagnoli ha, a nostro avviso, questa precipua prerogativa, di essere cioè aperto alle iniziative di tutti coloro che intendono porsi sulla strada da esso indicata.
Se qui verranno esposti i principi psicologici che hanno portato A. Romagnoli alle felicissime intuizioni pedagogiche, di cui si permea il suo metodo, nella prospettiva del progresso scientifico compiuto negli ultimi anni dalla ricerca psicologica, ciò non vorrà significare la negazione dei principi basilari, né, tanto meno, l’affermazione di un superamento concreto di essi. Si ritengono superati soltanto quei principi che non danno più alcun apporto alla moderna indagine, che si staccano, per così dire, dall’eterno fluire del processo spirituale, il quale, in tanto è valido, in quanto riassume in sé l’esperienza e pone i presupposti per nuove conquiste.

PREMESSA ALLA
DIDATTICA DEL GIUOCO

Romagnoli ha sempre inteso l’intervento attivo dell’educazione nei bambini ciechi in modo positivo e ricostruttivo. Positivo perché egli non elaborò mai una teoria che non sia stata precedentemente vagliata come pratica; ricostruttivo perché ebbe sempre presente il vero e reale portato della minorazione e quindi la coscienza di tendere con ogni mezzo e per ogni via al superamento degli effetti negativi di essa. Anche nella didattica del giuoco noi possiamo ritrovare questi due principalissimi caratteri dell’intuizione pedagogica del Romagnoli.
Non ci troviamo mai di fronte ad un astratto «devi fare», oppure ad una elaborata ricostruzione puramente razionale, ma sempre incontriamo il segno dell’esperienza ancora viva e calda: «così ho fatto... questo, il risultato». La dimostrazione, pur avendo valore pratico, come si conviene ad ogni ricerca scientifica, non esclude la possibilità di dar luogo a formulazioni di principi e ciò che in un primo tempo potrebbe apparire come un risultato particolare e quindi circoscrivibile al momento specifico della prova determinata, assurge in seguito al valore generale di norma. Tant’è vero ciò che, dalla piana e semplice esposizione di espedienti, noi abbiamo oggi la possibilità di trarre dei principi con questo beneficio, che, trattandosi di principii derivati dalla pratica, nella pratica debbono vivere. In ultima analisi questo significa che la teoria pedagogica concepita dal Romagnoli non potrà mai essere ridotta a «pura teoria», ma, se non vorrà essere contraddetta, dovrà svolgersi e vivere nell’azione. Astrarre dei principi è quindi opportuno, ma a patto che questi principi valgano soltanto in quanto informatori di una reale pratica pedagogica.
Gli espedienti escogitati dal Romagnoli, al fine di far svolgere spontaneamente nel giuoco le attività psicomotorie dei bambini ciechi, possono essere chiariti suddividendoli in cinque gruppi principali.
Tale suddivisione non comporta necessariamente una separazione di effetti, ma una gradualità di sviluppo, indispensabile, se vogliamo che la natura segua le proprie leggi, le quali vanno sempre dal facile al difficile, dal semplice al complesso e la distribuzione dei gradi rispetta un ordine che quanto più sarà perfetto, tanto più profonda risulterà l’efficacia dell’educazione.
I cinque gruppi in cui possiamo distinguere i principi che reggono l’attività dei giuochi si identificano con una quintuplice suddivisione dei giuochi stessi: giuochi che interessano lo sviluppo motorio, il giuoco come sviluppo delle condizioni psic



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