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Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Corriere dei Ciechi

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Numero 7-8 del 2014

Titolo: LAVORO- La storia di Massimo

Autore: Emiliano Angelelli


Articolo:
Massimo Vettoretti, il centralinista di Treviso pagato per non fare nulla
Si chiama Massimo Vettoretti, è il presidente dell'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti di Treviso, e recentemente ha reso pubblica una vicenda lavorativa che lo coinvolge da diversi anni. Massimo è impiegato come centralinista alla Motorizzazione Civile di Treviso dal 2007, ma ormai da quattro anni percepisce uno stipendio per non fare nulla. Nel 2010, infatti, l'ente per cui lavora ha deciso di sostituirlo con un disco registrato, senza fornirgli però una nuova mansione che giustificasse otto ore giornaliere di presenza in ufficio. Abbiamo incontrato Massimo per farci raccontare la sua storia.

D: Partiamo dal principio. Oltre ad essere il presidente dell'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti di Treviso, chi è Massimo Vettoretti?
R: Sono un appassionato d'informatica e nuove tecnologie, sono istruttore I.Ri.Fo.R. per l'insegnamento dell'informatica alle persone con disabilità visive e mi interesso di scienze sociali.

D: Da quello che mi dici deduco che sei una persona in grado di svolgere diversi tipi di mansioni, anche complesse.
R: Sì, purché io abbia gli strumenti adatti. Faccio alcuni esempi: ho lavorato in un call center, vendevo spazi pubblicitari, ho collaborato con il Centro del Libro Parlato di Padova per il quale mi occupavo della realizzazione di cd di audiofiabe rivolte a persone con disabilità visive, ho lavorato per un'azienda che produce audiolibri, in generale ho svolto diversi incarichi che prevedevano l'uso avanzato di strumenti informatici.

D: E poi sei arrivato alla Motorizzazione di Treviso.
R: Sì, perché avevo bisogno di pagare l'affitto. Il mio curriculum è estremamente vario, non ho mai avuto problemi a fare qualunque tipo di lavoro, il problema è che si trattava sempre di impieghi discontinui che non consentivano di attuare nessun tipo di progettualità. Così ho approfittato del fatto che si era liberato un posto alla Motorizzazione e nel 2007 sono stato assunto. Un po' a malincuore sono entrato a far parte della grande ruota da criceti che è l'impiego pubblico, dove vale più l'inquadramento contrattuale rispetto alle proprie capacità. Non è importante quello che sai fare, sei stato assunto per quel ruolo e quello devi fare.

D: E per tre anni questo lavoro l'hai svolto.
R: Sì, tranne un breve periodo nel corso del quale si era rotto il centralino, ho lavorato con sufficiente continuità fino al 2010, quando il nuovo direttore ha deciso che un disco sarebbe stato più efficiente di me. Un giorno sono arrivato in ufficio e il centralino ha smesso di funzionare, senza che la cosa mi fosse stata comunicata in alcun modo. Così mi sono ritrovato senza nulla da fare, senza strumenti e senza una nuova mansione. Ho aspettato un po' di tempo nella speranza che intendessero rimediare a questa situazione dopodiché ho proposto io stesso delle nuove mansioni che avrei potuto eseguire. In cambio non ebbi alcun tipo di risposta. A quel punto la vicenda precipitò e dovetti ricorrere alle cure sanitarie; solo allora mi venne affidato un nuovo incarico, senza però provvedere a fornirmi gli strumenti per svolgerla.

D: Quale era la tua nuova mansione?
R: Dovevo navigare su alcuni siti, tra cui quello della Gazzetta Ufficiale, reperire informazioni rilevanti per il nostro ufficio e trasmetterle alla Direzione. Inoltre avevo il compito di elaborare semestralmente un prospetto statistico sulle attività dei nostri colleghi (autoscuole, agenzie, officine). Per dimostrare buona volontà, decisi che avrei svolto comunque gli incarichi usando i miei strumenti personali, come l'iPhone e il computer di casa. Dopo qualche mese mi resi conto che nessuno faceva nulla per mettermi in condizione di lavorare e quindi non ritenni più giusto andare avanti in questo modo.

D: Nello specifico di quali strumenti avevi bisogno per lavorare?
R: Uno screen reader.

D: Che non mi risulta sia difficile da reperire.
R: No. Tra l'altro informai subito l'ufficio di quale software avevo bisogno e spiegai anche dove potevano acquistarlo fornendo più di un indirizzo.

D: Quindi deduco che non si tratti di una questione economica. Secondo te qual è il motivo di un atteggiamento del genere?
R: Il menefreghismo. Perché non c'è un interesse reale a sfruttare le risorse umane che si possiedono. Non c'è una cultura della produttività, soprattutto nella Pubblica Amministrazione. Per cui, se non disturbi troppo, te ne puoi stare tranquillo nel tuo angolino senza che nessuno ti venga a chiedere conto di quello che fai o che non fai.

D: E ti hanno dato una qualche forma di spiegazione per questo comportamento?
R: Non c'è stata risposta. Mi sono anche rivolto al sindacato, ma non è cambiato nulla. Così dopo quattro anni di forzata inattività ho deciso di dare una spallata alla vicenda uscendo pubblicamente su giornali e televisioni. Anche il direttore della Motorizzazione è stato intervistato in merito alla vicenda e la sua tesi era che lui non ne sapeva nulla, e che, visto che mi ero lamentato pubblicamente, sarei stato sottoposto a un provvedimento disciplinare. Siccome non avevo svolto per quattro anni le mie mansioni avrebbe fatto partire un'azione di rivalsa per avere indietro quattro anni di stipendio.

D: Con questa uscita pubblica cosa stai cercando di ottenere? Quali sono le tue richieste?
R: Voglio essere messo in grado di lavorare, qualunque sia la mansione.

D: Quali sono le mansioni che potresti svolgere all'interno della struttura per cui lavori?
R: Ce ne sono diverse, tra cui una sorta di ufficio relazioni con il pubblico. Ad esempio potrei rispondere al telefono e trasferire le chiamate ai vari interni e, opportunamente attrezzato e formato, potrei dare tutta una serie di informazioni che sgraverebbero i vari uffici da diverse mansioni. Basterebbe che potessi accedere alle banche dati e alle modulistiche.

D: Tu hai lavorato per l'I.Ri.Fo.R., che tra le altre cose si occupa di definire nuove figure professionali per i non vedenti, ma di fronte a una vicenda di questo genere, dai connotati prettamente culturali, viene da pensare che se non si risolve il problema a monte tutto il resto rischia di perdere la propria valenza sociale. Non credi?
R: Il problema culturale è "il problema" perché manca la cultura della persona disabile intesa come risorsa o se esiste è piuttosto marginale. Veniamo assunti perché c'è una normativa che obbliga le aziende a farlo, ma non c'è la minima percezione che possiamo essere utili in alcun modo.

D: Cosa si prova a livello umano a vivere una situazione del genere per quattro anni?
R: È una situazione che ti corrode dentro giorno per giorno. Da una parte si vive l'ingiustificato senso di colpa di percepire uno stipendio per non fare nulla e dall'altra si ha la sensazione di valere talmente poco da non poter fare niente per cambiare la situazione. Tutto ciò distrugge la tua autostima e sei costretto a impegnarti il più possibile pur di non pensarci. E poi c'è la situazione di angoscia legata al pensiero che tutto ciò non avrà mai fine, uno stato d'animo che è molto difficile da sostenere sul lungo periodo.

D: Come sei stato trattato nel corso di questi anni?
R: Io non esistevo. Faccio un esempio, in un ufficio normale se un dipendente smette di svolgere le sue mansioni dopo qualche giorno il direttore lo convoca nel suo ufficio e gli chiede delle spiegazioni. A me non è successo. Ho smesso di fare la rassegna stampa perché non volevo usare più i miei strumenti personali e nessuno mi ha mai chiesto spiegazioni. L'importante era che io non disturbassi. Che io me ne andassi dall'ufficio, cosa che non ho mai fatto durante l'orario di lavoro, non interessava a nessuno.

D: È stata presentata un'interrogazione parlamentare sulla vicenda e un esposto da parte tua all'ispettorato del lavoro. Quali credi saranno gli sviluppi di questa vicenda?
R: Non lo so, ma sono felice che questa storia sia arrivata all'attenzione pubblica perché questo genere di occupazione non lavorativa è più diffusa di quello che si possa immaginare. Siamo in tanti ridotti in queste condizioni e negli ultimi anni la situazione sta peggiorando. Spero che la mia vicenda serva da grimaldello per far leva su questo stato di cose.

D: Sei a conoscenza di altre storie simili alla tua? Qualcuno ti ha manifestato solidarietà?
R: Sì, mi hanno scritto in tanti per condividere esperienze simili e in molti casi per chiedermi aiuto, anche se purtroppo io non sono in grado di aiutare nessuno in questo senso. Solo qui a Treviso, di situazioni simili alla mia ce ne sono almeno quattro o cinque. So che molti si adattano a vivere situazioni del genere e lo capisco, perché il contraccolpo di venire allo scoperto può essere molto forte, soprattutto se non hai una rete di relazioni che in qualche modo ti difenda. Credo che la dignità del lavoro non sia soltanto quella di andare a timbrare il cartellino bensì di svolgere un incarico che sia degno di essere chiamato tale. Proprio per questo voglio ringraziare tutti quelli che mi sono stati vicini, perché senza di loro questo piccolo atto di coraggio non sarebbe stato possibile. E volevo infine spendere una parola di apprezzamento nei confronti del comunicato del Presidente Nazionale dell'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti Mario Barbuto che ho trovato di grande dignità, fermezza e risolutezza. Sono doti di cui oggi la nostra Unione ha veramente bisogno, perché cercare a tutti i costi il compromesso non sempre paga. Forse ha avuto successo in passato, ma oggi un richiamo ai valori di dignità che ci siamo conquistati nel corso degli anni è una strategia giusta e necessaria.



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