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Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Corriere Braille

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Numero 17-17sup del 2014

Titolo: Tiflologia: quali orizzonti

Autore: Giuseppe Cordasco


Articolo:
Rodolfo Masto, presidente della Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi intervistato da Giuseppe Cordasco
«Riuscire a promuovere la giusta consapevolezza di quanto sia importante per un non vedente poter contare fin dai primi momenti su un efficace processo di apprendimento e formazione e quindi di quanto sia fondamentale la tiflologia». Suonano come una sorta di vero e proprio manifesto le parole che disegnano il programma futuro di Rodolfo Masto, presidente della Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi, Onlus nata nel lontano 1921 e che riunisce i principali enti che sul territorio italiano a vario titolo si occupano di ciechi. Fin dal 1830, infatti, nel nostro Paese operano associazioni e istituti che, con finalità diverse, si prendono cura di soggetti non vedenti, e nonostante ci fossero stati in precedenza altri tentativi di unificare e integrare gli sforzi di questi organismi, solo con la nascita della Federazione Nazionale si è riusciti davvero a creare un soggetto capace di coordinare a livello territoriale le varie attività. È stato possibile così far incontrare professionalità e competenze diverse, che hanno cominciato a confrontarsi dialetticamente sui propri metodi di lavoro, traendone indubbi benefici. Un'attività che all'inizio ha puntato senza dubbio maggiormente sugli aspetti socio-sanitari, ma che poi ha allargato i suoi orizzonti verso le dinamiche educative e formative che hanno al centro appunto proprio i soggetti non vedenti. E proprio per affrontare in modo specifico questo tema, abbiamo incontrato Rodolfo Masto, tra l'altro in concomitanza con la presentazione della relazione annuale sull'attività della Federazione, che è stata l'occasione per fare il punto sugli obiettivi raggiunti e su quelli da continuare a perseguire.
D: Dottor Masto, ci pare dunque di capire che la tiflologia, o meglio, un suo più deciso rilancio, sia tra le priorità della Federazione che lei guida.
R: Partiamo da una premessa fondamentale: in tema di integrazione scolastica in Italia possiamo contare su una delle migliori leggi a livello europeo. Peccato però che troppo spesso poi non si riesca ad applicare le norme in maniera davvero compiuta. Questo fa sì che in realtà non ci sia una vera integrazione, con conseguenti difficoltà da parte dei nostri ragazzi non vedenti a raggiungere apprezzabili livelli di inserimento. In questo senso dunque un ruolo fondamentale può svolgerlo proprio la tiflologia che ha bisogno però di rinnovarsi e innovarsi, così come accaduto ad esempio alla pedagogia che ha fatto passi da gigante nella definizione di nuovi sistemi di formazione.
D: Quali sono gli ostacoli principali che lei individua sulla strada di uno sviluppo più compiuto della tiflologia?
R: C'è innanzitutto la necessità urgente di un riordino della figura del tiflologo da un punto di vista delle caratteristiche professionali. Al di là infatti dei compiti che il Ministero dell'Istruzione ha affidato ad alcuni atenei relativamente all'organizzazione di corsi specifici per insegnanti curriculari e di sostegno, rimane insoluto il problema di un vero e proprio riconoscimento giuridico della professione di tiflologo. Una riorganizzazione che dovrebbe chiamare in causa tutti quelli che oggi a vario titolo si occupano di ciechi e ai quali dovrebbero essere richieste delle competenze specifiche e ben definite. In Italia, ad esempio, non esiste un albo dei tiflologi e noi chiediamo a gran voce che venga istituito, stabilendo così a priori quali debbano essere le caratteristiche professionali di chi voglia occuparsi della formazione di ragazzi non vedenti. Per perseguire questo obiettivo sarà necessario però fare le opportune pressioni a livello politico e parlamentare, e in questo sforzo potrà essere fondamentale l'apporto che potrà giungere dall'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, che ha sempre dimostrato una capacità straordinaria di incidere sulle decisioni di carattere legislativo.
D: Ma basterà un nuovo albo dei tiflologi a risolvere tutti i problemi?
R: La definizione di nuove regole professionali è un passo importante, ma di certo non sufficiente a garantire una sempre migliore formazione dei nostri ragazzi. L'altro tassello fondamentale è infatti quello dell'innovazione, come già accennato. Dobbiamo renderci tutti conto che la tiflologia, così come la già citata pedagogia, è una scienza in evoluzione, nell'ambito della quale bisogna essere disposti a introdurre delle novità. Non dovremmo essere dei semplici custodi delle conoscenze acquisite. Penso ad esempio al progetto Tiflopedia finalizzato alla raccolta su piattaforma di dati, informazioni e contenuti sui servizi e sui saperi che costituiscono il patrimonio culturale dei non vedenti nel nostro Paese a partire dai tesori custoditi dalle istituzioni federate. Ebbene, Tiflopedia non deve costituire una mera raccolta documentale, ma avere l'obiettivo di coinvolgere i tiflologi, ancora in servizio e non, che sono da tempo testimoni attivi del progresso culturale e sociale dei cittadini con disabilità visiva. Tutto ciò dovrebbe darci il coraggio di battere nuove strade, magari confrontandoci con istituzioni di carattere europeo.
D: Da questo punto di vista noi partiamo svantaggiati?
R: Assolutamente no. Nel nostro Paese possiamo contare su alcuni istituti che rappresentano delle vere e proprie eccellenze a livello internazionale, e questa circostanza deve rappresentare una spinta in più per confrontarsi con altre realtà continentali. Lo dico pensando soprattutto all'informatica, che ha fatto balzi in avanti straordinari negli ultimi anni, e noi nel nostro ambito dovremmo cercare di stare costantemente al passo con i tempi, sfruttando tutte le opportunità che le nuove tecnologie ci offrono.
D: La riqualificazione del ruolo del tiflologo non è però l'unico obiettivo che la Federazione si è data per il prossimo futuro.
R: C'è un altro tema, tra i tanti, che mi sta particolarmente a cuore e che certamente sarà uno degli argomenti all'ordine del giorno nella nostra attività dei prossimi anni. Mi riferisco alla consapevolezza, che deve diventare sempre più diffusa all'interno del mondo dei non vedenti, che la qualità del servizio offerto ai nostri utenti deve essere il più possibile omogenea a livello territoriale.
D: Un problema questo con cui la Federazione si confronta fin dalle sue origini, vero?
R: In effetti, quando a partire dagli anni Venti, attraverso la nascita della Federazione, si cercò di unire gli sforzi delle varie istituzioni a favore dei ciechi, fu subito chiaro che esistevano forti disparità territoriali. Una disomogeneità di trattamento che era spesso molto evidente, con zone dove puntando molto sulla solidarietà locale si riusciva a far ospitare i ragazzi in strutture nuove ed accoglienti, e altre regioni del Paese dove invece le sistemazioni erano decisamente di fortuna. E si badi bene che le discrepanze non erano basate sulla classica divisione italiana tra Nord e Sud. Il fenomeno si presentava a macchia di leopardo, con alternativamente zone del Meridione e del Settentrione servite bene oppure lasciate in condizioni preoccupanti.
D: Un problema che ci sembra di capire non è stato del tutto superato.
R: Diciamo pure che, con toni decisamente meno pressanti, la questione della disparità territoriale esiste ancora, e noi pensiamo invece che non possano più esserci province dove le cose funzionano benissimo e altre dove invece i nostri utenti non ricevono le prestazioni adeguate. In questo senso, il riordino delle province di cui da tempo si discute a livello politico e che sembra aver iniziato il proprio iter parlamentare, potrebbe essere per noi proprio l'occasione per fare uno sforzo di analisi puntuale delle varie situazioni, puntando finalmente a dare a tutti i non vedenti del nostro Paese le stesse «chance» di crescita formativa e di assistenza.
D: In questo scenario, quale ruolo potrà giocare l'associazione che lei presiede?
R: La Federazione dovrà svolgere una funzione fondamentale, essere cioè da traino a tutto il settore affinché, attraverso lungimiranti azioni di rete, anche improntate alla solidarietà, ciascuna realtà locale ritrovi la consapevolezza del proprio ruolo nel superiore interesse dei ciechi e degli ipovedenti i quali, nel faticoso cammino verso l'inclusione possibile, devono percepire le nostre istituzioni come imprescindibili strumenti di promozione culturale e di riscatto. Attualmente possiamo contare su circa 25 istituzioni territoriali aderenti alla nostra Federazione. Lo scopo ultimo di tutti dovrà essere dunque quello di fornire al cieco siciliano, a quello lombardo o a quello napoletano gli stessi servizi e la stessa qualità di prestazioni.
Giuseppe Cordasco



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