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Kaleîdos

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Numero 7 del 2019

Titolo: Elena di Troia bellissima e muta

Autore: Gaia Giorgetti


Articolo:
(da «F» n. 11 del 2019)
Quando Paride la rapisce, suo marito Menelao, re di Sparta, dichiara guerra ai troiani per riaverla. A lei, che l'Iliade racconta come un muto oggetto del desiderio, va la colpa dei lutti. Una giovane autrice oggi le dà la parola e avvisa: «Il cliché dell'oca senza cervello è sempre utile agli uomini»
Elena, la donna più bella del mondo, colpevole di aver scatenato la guerra di Troia, il più grande conflitto dell'antichità. Protagonista di uno dei miti più conosciuti, Elena è stata raccontata sempre e solo dagli uomini e nessuno mai ha ascoltato la sua voce per sapere cosa pensasse davvero. La miss dell'antichità ci è stata consegnata dalla storia come una figura muta e colpevole, icona della condanna morale che pesa sulla bellezza femminile: chi è bella ha già troppo, non può avere altri doni. La bellezza di una donna non ha pensieri o parole, emozioni o paure, è solo un corpo nato per sedurre. Elena nasce da Zeus e Leda (moglie del re di Sparta), fecondata dal re dell'Olimpo che si è trasformato in cigno.
Nasce una principessa di forme divine, tanto irresistibile da essere rapita e stuprata adolescente dall'eroe Teseo e poi data in moglie a Menelao, fratello di Agamennone condottiero degli Achei.
A Sparta le donne non contano nulla ed Elena viene sempre trattata come un preziosissimo bagaglio da prendere e spostare: non riceve educazione se non l'arte di mantenere intatta la sua grazia, ben diversamente dalla sorella Clitemnestra che gioca, tesse ed è amata dai genitori. Non bastasse, Afrodite la promette a Paride, principe di Troia, per farsi eleggere la più bella, battendo Era e Atena. Ancora una volta Elena è merce di scambio, ma decide lei stessa di seguire Paride a Troia, causando così guerra, saccheggi, pianti e dolore. Lo stereotipo ha attraversato i secoli ed è ancora pressoché intatto: bella, scema, vuota, zoccola e colpevole. Ma Elena che cosa ha da dire? Quali desideri e quali paure si nascondono dietro il suo corpo perfetto? Le ha dato voce una ragazza pugliese di 24 anni, Loreta Minutilli, che studia Astrofisica a Bologna e ha scritto «Elena di Sparta» (Baldini+Castoldi), arrivato nella rosa dei finalisti al Premio Calvino. Sentiamola.
D. Loreta, Elena vuole dire la sua?
R. Il mito continua a parlarci e attraverso Elena ho voluto affrontare il tema della bellezza per lei e per tutte le donne di oggi. La vita di Elena ci è sempre stata raccontata solo da uomini, che non le hanno mai dato voce: nell'Iliade è un personaggio muto. Invece è una persona che ha bisogno di domande, di raccontare di sé. Essere belle può esporci a questo destino.
D. Lei la chiama Elena di Sparta e non di Troia, perché?
R. Sparta è la sua città, quella dove è nata e dove ritorna, il luogo che vorrebbe cambiare per farsi rispettare. Troia è il suo viaggio, una speranza e poi la disillusione: Elena crede di poter vivere da donna libera, perché a Troia le donne possono fare politica, parlare, girare per la strada, ma scopre che anche lì lei è considerata un nulla. Il pregiudizio e la gabbia nella quale la bellezza l'ha rinchiusa le negano ancora una volta la libertà.
D. La bellezza è un ostacolo o uno strumento di potere?
R. È un'arma a doppio taglio. Rende unica Elena, ma la mette in pericolo, le fa vivere una vita che non avrebbe voluto. Lei, però, non rinnega la sua bellezza, ne va fiera, anche quando le procurerà dolore. Va detto senza ipocrisie, per ogni donna essere bella è una risorsa, un dono piovuto dal cielo ma, come capirà Elena, bisogna imparare a gestire e portare con coraggio il proprio fascino, perché riflette sempre ciò che siamo. Non è giusto ridurre una donna avvenente al suo solo corpo.
D. Come se la bellezza escludesse per sua natura l'intelligenza e le altre virtù?
R. Sì. Elena subisce questa discriminazione e ne soffre enormemente. Per ribellarsi a questo destino sfida la vita: a Troia, rivendica il diritto di non essere solo la donna più affascinante del mondo. Non riesce nel suo intento, il suo aspetto resta una prigione e solleva un muro nei rapporti con gli altri: sarà sempre giudicata, qualunque cosa faccia.
D. In effetti Elena non ha amiche. Le altre donne la tengono lontana.
R. È un oggetto anche per le altre che in lei vedono solo una rivale, una donna che attenta ai loro mariti. Neppure loro si chiedono chi sia davvero. E la nostra ne soffre enormemente.
D. Fugge con Paride, che non ama, lasciando una madre morente e persino sua figlia. Ma così appare spietata.
R. Per essere viva deve invertire il senso della sua esistenza, riscrivere la sua vita, cambiare schemi che sono stati scritti da altri per lei. Seguire Paride non è frutto di impeto, ma è una scelta. Se per gli uomini la vita è un'avventura, per Elena è una sfida, non si volta mai indietro, non vuole rimpianti, anche se generano dolore.
D. Ama ed è mai davvero amata?
R. Per gli uomini la bellissima Elena è un trofeo e lei stessa si sente tale. Non ama e solo alla fine, quando tutto è compiuto e lei non può più fuggire, Menelao finalmente pronuncia la domanda che questa donna aspetta da tutta la vita: «Elena, perché l'hai fatto?». E lei gli risponde: «Perché ho bisogno di raccontare».
D. Accade così a tutte le donne molto belle?
R. La bellezza è un dono, può essere uno strumento di potere, ma la donna che la porta ha bisogno di esprimere se stessa. Ecco perché ognuna di noi si porta dentro «pezzi» di Elena, una donna che ha bisogno di essere vista, non solo guardata. Il destino di molte belle spesso è questo, sembrano fortunate, di successo, come se non avessero bisogno di nulla e di nessuno, quando invece tutti al mondo abbiamo bisogno di compassione.
D. Perché lo stereotipo di Elena resiste?
R. Perché è comodo per gli uomini. Una donna bella e intelligente avrebbe una quantità di potere troppo difficile da gestire: meglio alimentare la propaganda della bellona senza cervello, è più malleabile e meno pericolosa. E poi ha funzionato per secoli. Difatti a Elena non hanno mai fatto dire una parola.
Gaia Giorgetti



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