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Corriere dei Ciechi

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Numero 4 del 2024

Titolo: ATTUALITÀ- Giornata Internazionale dello Sport

Autore: Alessio Tommasoli


Articolo:
Un'occasione per capire a che punto è davvero l'integrazione
Il 6 aprile il mondo celebra un qualcosa la cui importanza viene spesso sottovalutata, perché la mentalità comune lo concepisce come un piacere accessibile a tutti, un passatempo che chiunque è libero di scegliere se intraprendere o meno: lo sport. E l'ONU, nell'istituire la Giornata Internazionale dello Sport, 11 anni fa, ha aggiunto qualcos'altro al soggetto celebrato nella dicitura ufficiale della Giornata: "per lo sviluppo e la pace". Poche, semplici parole che dimostrano la totale assenza di casualità nello scegliere proprio questa data, riportando al 6 aprile del 1896, quando ad Atene si aprirono i primi Giochi Olimpici dell'era moderna, detti anche "Giochi della I Olimpiade". Allora, quello sviluppo e quella pace, vennero interrotti da un quarantennio di guerre e regressione umana, tradendo lo spirito stesso dell'Olimpiade, ereditato dalla Grecia antica, quello che, in fondo, è il valore stesso dello sport: un momento sacro che si apre nel tempo profano della quotidianità, durante il quale tutto si ferma, anche le guerre, per unire e coinvolgere attivamente l'intera comunità umana. Un momento, come una parentesi aperta nel mezzo del tutto, nel quale le differenze possono unirsi in uno scontro fisico che ha il senso di un confronto, e in cui è proprio la differenza il punto di forza, ciò che porta a una vittoria: del singolo, certo, ma anche dei tanti che vengono sconfitti, perché fare sport significa confrontarsi con gli altri e con se stessi, in uno slancio che, prima ancora di superare l'avversario, ha l'obbiettivo di superare i propri limiti.
Forse è proprio questo il senso di quella frase tanto abusata, pronunciata da Pierre De Coubertin, l'uomo che, non a caso, era proprio dietro l'organizzazione di quella prima Olimpiade, nel 1896: "l'importante è partecipare", tutt'altro che una frase di consolazione per chi non ha vinto, ma piuttosto la profondità del concetto di sviluppo radicato nello sport.
Oggi, nel contesto nazionale italiano, sviluppo e pace sono concetti che trovano concretezza accostandosi a temi sociali, come quello dell'inclusione. La pace, così, diventa equilibrio, eguaglianza e parità di diritti, ai quali l'elemento dello sviluppo risulta direttamente collegato, disegnando un movimento sinfonico nel quale ogni singolarità che lo compone ha un'importanza essenziale: singolarità che siamo abituati banalmente a chiamare "differenze", proprio quelle che lo sport, più di qualsiasi altra cosa, fa emergere ed esalta, convincendoci finalmente a definirle peculiarità, capacità, abilità, punti di forza.
E, nonostante siano trascorsi 11 anni da quando l'ONU ha istituito la Giornata Internazionale dello Sport per lo sviluppo e la pace, questi concetti sono ancora delle mete ideali, soprattutto in Italia, ostacolate da diverse lacune, prima tra tutte quella dell'accessibilità. Ma sembra che, di anno in anno, qualche passo in avanti venga realizzato. Sembra, dicevamo, perché, per avere più chiara questa impressione, abbiamo bisogno di chiederlo a chi lo sport lo vive ogni giorno, e lo vive da una prospettiva differente rispetto alla maggioranza, quella di chi ha un ostacolo in più da affrontare, fuori dallo spazio di gara, l'ostacolo dell'accessibilità. Per questo, ne abbiamo parlato con Bebe Vio, Assunta Legnante e Daniele Cassioli, tre campioni che vivono il mondo dello sport dall'interno, ma anche con chi, come l'associazione Vorrei Prendere Il Treno, lo sport lo vive fuori dalla realtà dell'agonismo, accompagnando la quotidianità di una qualunque persona con disabilità e cercando di impedire che diventi un "disabile", perché disabili lo diventiamo solo di fronte agli ostacoli creati dalla società stessa in cui viviamo.
BEBE VIO
Abbiamo percorso tanta strada negli ultimi anni, guardando indietro è innegabile che ci siano stati dei passi avanti enormi. L'impegno attivo su più fronti, per una sensibilizzazione sul tema dell'inclusione, ha giocato un ruolo decisivo, ma ora non possiamo, né vogliamo fermarci. Sappiamo che c'è ancora molto lavoro da fare e abbiamo bisogno di sostegno e del coinvolgimento di tutti, perché questo non è un argomento per pochi, ma riguarda tutti coloro che si identificano in certi valori e che credono in una società migliore.
Lo Sport sarà veramente inclusivo solo quando non si parlerà più di atleti con e senza disabilità, di discipline olimpiche e paralimpiche o di qualunque distinzione su altre basi, ma solamente di sport puro e semplice. Da tempo, anche attraverso diverse iniziative, sostengo che un'integrazione reale sia non solo desiderabile, ma anche possibile a tutti gli effetti. La questione sta nella volontà, nello stabilire le regole del gioco, nell'assumere un punto di vista che vada oltre le divisioni e le barriere che siamo soliti considerare come impossibili da superare.
Rispetto a quando sono entrata nel mondo dello sport, il dibattito pubblico si è evoluto insieme al linguaggio: ci sono più consapevolezza, interesse e conoscenza. Fino a qualche tempo fa, lo sport paralimpico, ad esempio, era percepito come "lontano" o addirittura poco interessante, perché, oltre alla sensibilità, mancava anche la possibilità concreta per tutti di praticare l'attività sportiva, con conseguente rallentamento della crescita del movimento. Oggi siamo ancora lontani dalla condizione ideale, ma siamo consapevoli di ciò che è stato fatto, e possiamo dire che la macchina del cambiamento sia stata avviata.
ASSUNTA LEGNANTE
Siamo in un periodo in cui l'inclusione nel mondo dello sport è a buon punto. Da quando ho fatto il mio ingresso nel mondo Paralimpico, nel 2012, c'è stato un vero e proprio tsunami che ha travolto lo sport per disabili, ed è stato uno tsunami positivo, dal mio punto di vista. Il più grande cambiamento ha riguardato la prospettiva: la gente ha finalmente cominciato a guardarci come atleti, e non più come persone disabili che dovevano semplicemente trovare un'attività per uscire fuori di casa e distrarsi dal piangersi addosso. Le tante medaglie conquistate in tutti gli sport da noi atleti italiani alle Paralimpiadi, ai Mondiali e agli Europei sono state una vetrina, non solo per la Nazione, ma per il singolo che andava a competere negli stadi e nei campi di tutto il mondo. Questo ha fatto sì che venissimo visti come sportivi veri, atleti che, giorno dopo giorno, si sacrificano per emergere nelle varie competizioni
Mi piace pensare che lo sport veramente inclusivo sia come una grande festa a cui tutti sono invitati, indipendentemente dalla loro età, genere, abilità o provenienza. Provate a immaginare uno spazio dove ogni persona si senta accolta, dove non ci sia discriminazione e dove ognuno abbia l'opportunità di partecipare e brillare. Lo sport veramente inclusivo è un ambiente in cui le diversità vengono celebrate e valorizzate, dove l'importante è il gioco, la sfida e la gioia di fare squadra insieme: è un'opportunità per costruire legami, superare limiti e creare un senso di comunità che trasforma le vite di tutti coloro che vi partecipano.
Per quanto so che non tutti hanno la voglia di sacrificare tempo, corpo e mente per allenarsi ogni giorno, mi piace pensare che da qualche parte ci sia una bambina come ero io alcuni anni fa che non molla e non si piange addosso, ma riesce a ritagliarsi un momento tutto suo nella giornata che le faccia dimenticare i momenti tristi e ne crei altri di aggregazione, passione e felicità.
DANIELE CASSIOLI
Credo che ci troviamo in uno stato di crescita importante: è aumentata la consapevolezza sulla disabilità grazie proprio allo sport, perché è stato possibile parlare di storie che anche solo 10 anni fa non avrebbero mai raggiunto il grande pubblico.
Allo stesso tempo, però, è innegabile che l'incremento degli atleti con disabilità riguarda molto quelle fisiche e poco quelle sensoriali.
Un'altra considerazione da fare è che l'atleta paralimpico non è ancora rappresentativo di una categoria: il fatto che questi atleti siano molti nell'agonismo, non significa contemporaneamente che a scuola un ragazzino cieco faccia educazione fisica con i compagni, o che un paraplegico trovi facilmente sul proprio territorio una società sportiva pronta ad accoglierlo.
Per arrivare a considerare lo sport certamente inclusivo, è necessario che vengano garantite opportunità per tutti nei vari territori. Non potremo considerarci un paese inclusivo, fino a quando un ragazzo dovrà fare 100 km ad andare e 100 a tornare per trovare il suo sport. Sport inclusivo significa anche avere impianti accessibili per praticarlo o per andare ad assistere a una competizione e, ancora oggi, tanti stadi italiani, per esempio, non hanno un adeguato numero di posti destinato alle persone con disabilità.
Ciò detto, è giusto ammettete che sta aumentando anche la sensibilità della gente sul tema, oltre alle normative che supportano l'etica: si fa attenzione a come costruire gli impianti sportivi, o a come ammodernarli nell'ottica dell'inclusività, e le società di professionisti sono sempre più attente a promuovere e veicolare messaggi d'inclusione tramite lo sport.
D'altronde, negli ultimi anni si è fatto moltissimo per migliorare l'inclusione, basti pensare che nel 2000 la squadra paralimpica di sci nautico, presso il centro federale, non aveva nemmeno uno spogliatoio vero e proprio, mentre adesso ce ne sono due. Il Comitato Italiano Paralimpico sta mettendo in campo tante azioni su diversi piani e ha un approccio ad ampio raggio sul tema: ultimamente, per esempio, gli atleti con disabilità hanno avuto accesso ai corpi militari dello Stato, vengono ideate iniziative di avviamento allo sport e si alimenta la consapevolezza dell'opinione pubblica tramite una comunicazione trasversale ed efficace. Basti pensare che l'ultimo Festival Della Cultura Paralimpica, promosso e organizzato dal CIP, si è potuto fregiare della presenza dell'Illustrissimo Presidente della Repubblica. Il nome della 3 giorni tenutasi a Taranto era "Lo Sport come Linguaggio universale, due facce della stessa medaglia": parole che raccontano bene la visione della "famiglia paralimpica" (come ama definirla il presidente Pancalli) riguardo lo sport in generale e, nello specifico, di quello per noi con disabilità.
Vorrei dare un consiglio a tutti i ragazzi, indipendentemente che facciano o meno sport: mantenete il contatto con la giovinezza, perché è divertimento, è fare squadra con i coetanei ed è appassionarsi a qualcosa, che sia lo sport, la musica, l'arte... Ma forse il consiglio più importante mi permetto di darlo agli adulti, partendo dai genitori e arrivando agli insegnanti, agli educatori, per arrivare fino alle figure sanitarie e parasanitarie: è importante che i bambini, prima di fare i disabili, facciano i bambini. Sono parole forti, ne sono consapevole, ma nascono dal fatto che, troppo spesso, incontro ragazzini non vedenti e ipovedenti che non fanno sport o ne fanno pochissimo, e nessuno degli adulti intorno a loro crea le condizioni perché questo accada. Fare sport non è solo diventare campioni: fare sport è soprattutto divertirsi, allenarsi allo stare in gruppo e al fare e disfare una borsa. Come i vedenti fanno sport anche se non andranno mai alle Olimpiadi, è sano, utile e importante che chi non vede abbia accesso a queste dinamiche, fondamentali per il fisico e per la mente.
VORREI PRENDERE IL TRENO
La tutela dei diritti dei disabili passa anche attraverso la possibilità di praticare uno sport. L'attività sportiva, infatti, è un grande strumento di inclusione e di integrazione per tutti, comprese le persone con disabilità. Ecco perché, per garantire a tutti la possibilità di esprimere le proprie capacità attraverso l'attività sportiva, sono molte le disposizioni che tutelano questo diritto: dalla Carta Internazionale dello Sport e dell'Educazione Fisica dell'UNESCO (Parigi, 1978) alla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (ratificata in Italia nel 2009), passando per la Legge 104/92 e il Decreto Legislativo 43 del 27 febbraio 2017(che costituisce il Comitato Italiano Paralimpico), solo per citarne alcune.
Oggigiorno, esiste più consapevolezza del fondamentale ruolo che svolge la pratica sportiva anche per le persone con disabilità, ed eventi come le Paralimpiadi hanno sicuramente dato un grande impulso a creare attenzione e sviluppare una nuova presa di coscienza al riguardo. Lo sport è qualcosa che influenza la quotidianità delle persone, anche quella delle persone con disabilità: rappresenta un momento importante di socializzazione con gli altri, un momento in cui le persone diventano parte attiva ed integrante di un gruppo; un momento in cui l'inclusione sociale diventa concreta. Le persone con disabilità dovrebbero avere, come tutti, voglia e possibilità di fare sport, per il divertimento e il piacere di fare attività fisica, per soddisfare la voglia di gioco e di agonismo, e si dovrebbe cancellare definitivamente la convinzione che l'attività sportiva sia solo, come purtroppo succede, attività a scopo "terapeutico". L'inclusione, nello sport non agonistico, dovrebbe puntare a fare sforzi attivi e intenzionali per garantire che tutti abbiano pari opportunità di partecipare, competere e avere successo. Un esempio: le organizzazioni e le associazioni sportive dovrebbero eliminare gli ostacoli alla partecipazione, come i costi elevati e la mancanza di accesso alle loro strutture. Inoltre, non dovrebbero esercitare così tanti pregiudizi e difficoltà nei confronti delle richieste d'iscrizione delle persone con disabilità, anche e soprattutto nel caso di bambini.
Nello sport agonistico, invece, si dovrebbe provvedere a una regolamentazione del settore che permetta la partecipazione congiunta, quando possibile, alle competizioni di atleti con e senza disabilità. In alcune circostanze, infatti, la presenza di disabilità non pregiudica la pratica di una specifica disciplina sportiva, e ciò a tal punto da non giustificare l'esclusione di atleti con disabilità (in possesso di certificazione medica d'idoneità) dalla categoria competitiva definita come quella dei "normodotati". Basterebbe prevedere che le regole competitive siano basate sulle pari potenzialità dei partecipanti e che un'attestazione medica certifichi l'idoneità di una persona con disabilità a competere con atleti "normodotati" in quella determinata disciplina, anche se necessiti, per farlo, di strumenti e dispositivi, purché questi non le diano alcun vantaggio, lasciando inalterato l'imprescindibile equilibrio competitivo tra atleti "uguali".
La soluzione a queste problematiche la sta portando avanti lo sport integrato, basato sull'importanza dell'inclusione di persone con disabilità in tutte le attività sportive. Il regolamento tecnico ufficiale dello sport integrato prevede la presenza di atleti con disabilità e senza, abbattendo la visione stereotipata che vuole le persone con disabilità sempre bisognose di assistenza e rendendole, invece, atleti a tutti gli effetti, protagonisti di una competizione che non si adegua alla disabilità, ma ne sfrutta le caratteristiche. In questo modo, lo sport integrato mira a superare tutte le barriere, promuovendo l'accessibilità, la parità di opportunità e la partecipazione attiva di tutti, indipendentemente dalla loro condizione. Ciò contribuisce a combattere la segregazione e a creare una società più equa e accogliente.
Lo sport deve dare a tutti la possibilità di mettersi in gioco e dimostrarsi come l'opportunità di sfruttare le proprie potenzialità, affinché anche attraverso di esso si possa diffondere un'immagine reale della persona con disabilità, e non avvolta da quel connotato di pietismo e di commiserazione che crea solo pregiudizio e stigma. Perché bisogna contribuire a riaffermare con forza le sue capacità e il suo diritto di far parte a pieno titolo, della nostra società.

Parole, denunce, idee, speranze, obiettivi: in questa Giornata Internazionale dello Sport, abbiamo mescolato tutto questo per fare il punto su quanto, ad oggi, lo sport sia davvero "per lo sviluppo e la pace", concretizzando questi due concetti nell'accostamento al tema sociale dell'inclusione. E il risultato è che, oltre a una maggiore consapevolezza su ciò che è fatto e che è da farsi, l'insieme delle testimonianze raccolte ci lascia qualcosa di simile a quell'emozione provocata dallo sport, quella che ci porta a tifare i nostri campioni nazionali, senza guardare se si tratti di Olimpiadi o Paralimpiadi, con lo stesso identico orgoglio. Perché, come afferma Bebe Vio, "per gli atleti questo è l'appuntamento della vita, quello più atteso, quello che non ti fa dormire la notte, quello che ti porta a fare di tutto per ottenere grandi risultati e rendere orgogliosi i tifosi italiani". Tutti i tifosi, come tutti gli atleti, senza distinzioni, se non quelle differenze che nello sport diventano abilità.



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