Numero 7-8 del 2024
Titolo: ATTUALITÀ- Arrigo Sacchi, la filosofia del profeta del calcio e la sua eredità
Autore: Carmelo Di Gesaro
Articolo:
L’intervista di Carmelo Di Gesaro
Per introdurvi a questo lavoro, voglio subito mettere le cose in chiaro e vi rivolgo una domanda: sapete quanto è difficile intervistare un profeta? Probabilmente no. Pertanto, per offrirvi un’unità di misura sul tema, allargando un attimino la prospettiva, vi chiedo ancora: avete mai letto un'intervista a Gesù? No. È un’assurdità e siamo totalmente d’accordo. Ma se l’aveste trovata, secondo voi, sareste riusciti a decifrare le metafore, le mezze frasi, i non detti, le frecciatine che vi si nascondono? Personalmente, solamente pensandoci, mi convinco sempre di più che la risposta sia un netto 'no'. Bene. Adesso, facendo le dovute proporzioni, spostiamo la questione sul piano sportivo, mettendo nel mirino Arrigo Sacchi, l’allenatore più enigmatico nella storia italiana del calcio.
Se siete tra i pochi che non sanno nulla su Arrigo Sacchi, è fondamentale incamerare l’informazione principale della sua carriera: è stato il tecnico che ha stravolto il modo di giocare a calcio, partendo soprattutto dal pre-partita. A lui si deve il metodo di preparazione atletica performante, durissima e di altissimo livello, oggi molto diffuso, affiancato a un uso straordinario della tattica di gara. Con Arrigo in sella, invero, la difesa e il pressing diventano i due capisaldi di un lavoro di squadra, che in precedenza cedeva il passo prevalentemente al talento e alle fortune dei singoli atleti in rosa. Facendo un tuffo nel passato, abbiamo nella memoria il Cagliari di Riva, la Lazio di Chinaglia o ancora la Fiorentina di Antognoni. Ecco, quello era il passato, il cosiddetto "A.S.": il mondo prima di Arrigo Sacchi (vedi a volte le coincidenze n.d.r.). Arrigo dunque rappresentava la novità assoluta, il tecnico che spodestava dall'olimpo l’espressione dell’estro e la libertà individuale. Il mister che organizzava la squadra facendo leva su un calcolo estremo delle tempistiche di gioco, del fuorigioco, dei singoli ruoli e della organizzazione a zone, con l’obiettivo di raggiungere grandi prestazioni collettive. E ci riusciva.
In tutto ciò, questa che poi è stata classificata come una vera "filosofia" di gioco, giungeva nel periodo calcistico nazionale passato alla storia come il momento d’oro del calcio italiano. Per il nostro paese, infatti, gli anni ’80 e ’90 sono certamente coincisi con l’allineamento dei pianeti perfetto, dove fortuna, soldi e miracoli hanno fatto il paio con altrettanti grandi Presidenti. Tra queste, però, di sicuro, l’anomalia stupefacente è stata proprio la maestria del tecnico di Fusignano, il preparatore di uomini, sedutosi sulla panchina del rinato Milan di Berlusconi senza possedere grandi esperienze pregresse e senza aver mai giocato tra i professionisti.
Tutta questa premessa per arrivare ad oggi, giorni in cui il tecnico si gode una meritata pensione e, per non rinnegare il titolo di profeta che gli fu conferito all’apice della carriera, ancora impegnato trasmette le sue idee attraverso i libri. Tra questi, l’ultimo, presentato al Salone di Torino nel 2024, è "Il realista visionario. Le mie regole per cambiare le regole", edito da Cairo editore con la collaborazione autoriale di Leonardo Patrignani.
In questo testo il "Profeta di Fusignano", come recita il retro di copertina, "apre idealmente le porte del suo spogliatoio per rivelarci i suoi segreti professionali e valoriali". E su questi valori ho voluto intervistarlo, chiudendo la chiacchierata, come leggerete, ponendo l’accento su una provocazione in merito alla sentenza Bosman.
Per chi non lo sapesse, la sentenza Bosman, emessa il 15 dicembre 1995, cambiò il sistema dei trasferimenti dei calciatori europei, modificando anche le regole sul numero dei tesseramenti possibili per le squadre del continente. I giudici stabilirono che gli atleti europei potessero trasferirsi gratuitamente alla scadenza del contratto in un altro club appartenente sempre a uno stato dell'Unione; inoltre, fu concessa la possibilità di firmare un pre-contratto gratuito con una nuova società nei sei mesi precedenti la scadenza. La sentenza, infine, impedì alle varie leghe continentali di porre un tetto al numero di stranieri, qualora ciò risultasse discriminatorio verso gli atleti dell'Unione. Da allora, le squadre di calcio europee non hanno più l’obbligo di rispettare il numero massimo di giocatori "non nazionali" per squadra, precedentemente fissato a tre, e gli stessi sportivi possono liberarsi dal proprio club alla scadenza del contratto, senza subire ripercussioni sulla carriera.
Possiamo considerare tale fatto storico, che non ha mai smesso di generare polemiche in ambito sportivo, il terremoto che ha cambiato l’intero sistema calcistico europeo. Uno scossone che ha rivoluzionato gli equilibri nelle massime serie, i vivai e le giovanili dei club, le formazioni titolari, con ricadute politiche in termini di peso specifico delle leghe nazionali e non solo. In qualche modo, anche la fine dello strapotere del calcio italiano degli anni ’80 e ‘90.
E adesso, buona intervista.
D: Buongiorno, Mister. Ci troviamo alla presentazione del suo libro Il realista visionario. Scorrendo le pagine, mi sono accorto da subito che questo libro vuole motivare una nuova generazione di persone, ripartendo dalla sua filosofia. È corretto?
R: Quando allenavo, volevo delle persone affidabili in un paese poco affidabile. Volevo delle persone che disconoscessero l'individualismo, l'egoismo, l'invidia, le gelosie. Volevo delle persone di alto livello come individui. E volevo essere l'allenatore che dava loro una guida, non solo nel gioco.
D: A partire da questo, secondo lei il sacchismo è ancora presente nella cultura calcistica di oggi?
R: No. In Italia per la prima volta ci sono degli allenatori "strateghi", non era mai successo. Io non ero un "allenatore italiano" (sorride) e mi hanno copiato in tutto il mondo.
D: Però è un'eredità che in qualche modo ha lasciato al calcio e agli allenatori italiani. Pensiamo ad Ancelotti...
R: Sì, nel calcio italiano... però, vede, Ancelotti era uno dei nostri!
D: Ok, ma c’è ancora qualcuno dei nostri in questa Italia che sembra aver abbattuto tutte le sue barriere?
R: No, il calcio è il riflesso della storia e della cultura di un paese, e la nostra storia e cultura oggi, purtroppo, non sono di alto livello.
D: E il calcio?
R: E il calcio... ieri sera, per esempio, c'erano tre squadre in campo, tutte guidate da allenatori strateghi. Ora, diceva Sun Tzu, cinquemila o seimila anni avanti Cristo, quando lo stratega incontra il tattico, per il tattico c’è già odore di sconfitta. Questo è il motivo per cui anche una grande squadra come la Juventus, che ha partecipato più di tutte alla Coppa dei Campioni, ne ha vinta solo una e gliene hanno dato una seconda. Punto e basta.
D: Le faccio un'ultima domanda per chiudere. Secondo lei, la sentenza Bosman ha rappresentato, diciamo, il muro di Berlino per il calcio?
R: No, quelle del muro di Berlino erano cose più serie.
D: Grazie Mister, buona presentazione.
R: Grazie a lei.
Nota per i polemisti. Quanto appena detto non esprime l’idea che un tempo non ci fossero grandi allenatori, penso a Bearzot, Herrera, Liedholm. Tuttavia, ognuno di loro aveva sempre bisogno dei singoli campioni e non faceva dell’organizzazione minuziosa, direi ossessiva, della stagione, con la preparazione atletico-tattica collettiva, il proprio caposaldo. Questa è la differenza.