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Corriere dei Ciechi

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Numero 4 del 2025

Titolo: TURISMO, SPORT E TEMPO LIBERO - Blind Tennis

Autore: Alessio Tommasoli


Articolo:
Lo sport in ascesa che mira alle prossime Paralimpiadi
Fino alla metà degli anni '80 uno sport come il tennis era considerato impraticabile per le persone con una disabilità visiva. Poi, in Giappone, qualcuno ha deciso di provare a rompere questo luogo comune con alcune semplicissime modifiche al tennis tradizionale, a dimostrazione del fatto che, come spesso accade, il limite tra accessibile e inaccessibile è solo una questione di volontà.
È bastato, infatti, restringere le dimensioni del campo regolamentare a 12,80 metri di lunghezza e 6,10 di larghezza, e abbassare la rete a 83 cm da terra, sostituendo la pallina da tennis tradizionale con una di gommapiuma, al cui interno un sonaglio emette un rumore di fruscio ad ogni suo rimbalzo: ed ecco inventato il Blind Tennis.
Per il resto, racchette e punteggio sono gli stessi del tennis tradizionale, fatta eccezione per i rimbalzi della pallina.
"Ne sono concessi 3 per la categoria B1, quella dei ciechi totali, e 2 per gli ipovedenti, in modo che il primo determina l'attribuzione del punto (se è dentro o fuori dal campo), mentre gli altri due offrono la possibilità al giocatore di individuare la pallina per spedirla dall'altra parte", spiega Renzo Del Cont, campione in carica del campionato nazionale italiano di Blind Tennis.
Ma anche uno dei primi atleti a praticare questo sport in Italia, dove le prime scuole sono state inaugurate intorno al 2015: "Da noi a Pordenone è successo semplicemente che una persona normovedente appassionata di sport ha proposto questa nuova forma di tennis, facendo delle dimostrazioni pratiche", racconta Del Cont, "poi lo stesso è avvenuto a Bologna e a Milano, attecchendo sempre di più sul territorio".
Del Cont la definisce "fortuna", quella di aver trovato un maestro di tennis normovedente che aveva proposto questa attività ai ciechi. Ma, per fare in modo che non si tratti più di una banale casualità, la FISPIC (Federazione Italiana Sport Paralimpici) ha organizzato corsi di formazione per allenatori: "perché allenare un cieco non è come allenare un normovedente", ricorda Del Cont. Anche se, tra tutti gli sport che può praticare una persona con disabilità visiva, il tennis ha una grande forza: "si è perfettamente autonomi, perché le linee tattili del campo e il sonaglio nella pallina ti permettono di sapere dove ti trovi e dove muoverti", spiega sempre Del Cont, "oltre all'arbitro e al tuo avversario, ci sei solo tu, il tuo corpo, il tuo scatto e la tua capacità di assestare il colpo con la racchetta, quindi sei responsabile assoluto della tua prestazione, in una indipendenza che è divertente e gratificante, perché ti porta a sfidare te stesso per migliorarti".
Oltre a questo, non bisogna sottovalutare anche un importante fattore di coinvolgimento e di confronto con gli altri: "nel 2017 la FISPIC ha inaugurato il campionato italiano di Blind Tennis che si tiene una volta all'anno in parti diverse d'Italia", ricorda Del Cont, "con arbitri ufficiali formati dalla stessa FISPIC e una divisione tra torneo maschile e femminile, oltre a quella tra B1 (ciechi totali), B2 (ipovedenti gravi) e B3 (ipovedenti) decisa da una commissione medica, per essere sicuri di competere ad armi pari".
Un'esperienza, quella del Blind Tennis, che sa andare anche oltre l'aspetto sportivo, come racconta Del Cont: "col Campionato Nazionale siamo proprio da poco tornati da Cagliari, dove si è svolta la prima parte, a dimostrazione che questo sport ti permette di viaggiare molto, oltre a confrontarti con altri atleti e socializzare con loro".
Uno sport che non si limita, però, all'Italia, come spiega ancora Del Cont: "Ci sono anche molti open internazionali, organizzati in Spagna, Polonia, Inghilterra, come la competizione di Newport a marzo, dove partecipa un buon numero di giocatori da tutto il mondo".
Sullo sfondo, poi, il grande obiettivo, quello di entrare tra gli sport praticati nelle Paralimpiadi: "Los Angeles 2028 è molto più di un sogno, perché per farne parte devono esserci almeno 24 nazioni partecipanti e lo scorso anno erano 22, da 5 continenti" spiega Del Cont, "al mondiale passato ha vinto un argentino che ha battuto in finale un giapponese".
Purtroppo, però, in Italia, i giocatori non sono ancora tanti quanto ci si aspetterebbe, perché all'appello mancano le grandi città, come Roma e Torino, che non registrano nessun atleta nel campionato nazionale. "Un fenomeno piuttosto anomalo che rallenta lo sviluppo di questo sport", continua Del Cont, "e non dipende certo dalla mancanza di strutture adeguate visto che basta solo una palestra e il campo si può costruire molto facilmente con filo e scotch".
Certo, la speranza non può morire soprattutto in un momento come questo nel quale si può sfruttare "l'effetto-Sinner" che sta riempiendo le scuole di tennis di ragazzini. E allora quello che manca, forse, è quello che ha portato alla nascita di questo sport, come spiega Del Cont, rammaricato, ma al tempo stesso fiducioso: "c'è bisogno di creare opportunità per praticare questo sport, di appassionati di tennis che siano disposti ad allenare le persone con disabilità visiva, andando ad arricchire il numero di società già presenti, per portare anche in Italia il Blind Tennis ai livelli che sta raggiungendo nel resto del mondo, i livelli che merita".



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