Numero 4 del 2025
Titolo: DIRITTI - Lo smart working è un accomodamento ragionevole
Autore: Franco Lepore
Articolo:
Garantire e favorire l'esercizio del diritto al lavoro
Nelle scorse settimane la Corte di Cassazione - sezione lavoro, con la sentenza n. 605 del 10 gennaio 2025, ha affermato che è un accomodamento ragionevole organizzativo concedere lo smart working al lavoratore con disabilità. La sentenza della Consulta è molto interessante sotto diversi aspetti. Tuttavia, prima di procedere con l'esame della pronuncia, chiariamo che cos'è un accomodamento ragionevole.
In ambito internazionale ricordiamo che, ai sensi dell'art. 27 della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, gli Stati Parti devono garantire e favorire l'esercizio del diritto al lavoro, anche a coloro che hanno subito una disabilità durante l'impiego, prendendo appropriate iniziative, tra l'altro, attraverso la fornitura di accomodamenti ragionevoli nei luoghi di lavoro. Inoltre, in base a quanto previsto dall'art. 2, comma 4, della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, per "accomodamento ragionevole" si intendono le modifiche e gli adattamenti necessari ed appropriati che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo adottati, ove ve ne sia necessità in casi particolari, per garantire alle persone con disabilità il godimento e l'esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali.
Nel panorama legislativo italiano, l'art. 3 bis del Decreto Legislativo 9 luglio 2003, n. 216, stabilisce che, al fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento delle persone con disabilità, i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad adottare accomodamenti ragionevoli, come definiti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, nei luoghi di lavoro, per garantire alle persone con disabilità la piena eguaglianza con gli altri lavoratori.
Recentemente il Decreto Legislativo 3 maggio 2024, n. 62, ha introdotto l'art. 5 bis alla Legge 5 febbraio 1992, n. 104, stabilendo che, nei casi in cui l'applicazione delle disposizioni di legge non garantisca alle persone con disabilità il godimento e l'effettivo e tempestivo esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali, l'accomodamento ragionevole individua le misure e gli adattamenti necessari, pertinenti, appropriati e adeguati, che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo al soggetto obbligato.
Torniamo alla sentenza n. 605/2025 emessa dalla Corte di Cassazione. La pronuncia in commento è molto significativa poiché conferma ulteriormente l'importanza e la valenza degli accomodamenti ragionevoli. A fondamento della propria decisione, i Giudici hanno richiamato diffusamente alcuni atti internazionali molto importanti: la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e la Direttiva 2000/78/CE (recepita dall'Italia con il D. Lgs n. 216/2003).
La Corte di Cassazione ha precisato che lo smart working può essere considerato come ragionevole accomodamento organizzativo che, senza comportare oneri finanziari sproporzionati, è idoneo a contemperare, in nome dei principi di solidarietà sociale, buona fede e correttezza, l'interesse del lavoratore con disabilità al mantenimento di un lavoro confacente alla sua condizione psico-fisica con quello del datore a garantirsi una prestazione lavorativa utile all'impresa.
Sotto il profilo processuale, i Giudici hanno illustrato gli oneri probatori che gravano sul lavoratore e sul datore di lavoro in caso di controversia. In particolare nella sentenza si legge che "incombe sul lavoratore l'onere di allegare e dimostrare il fattore di rischio e il trattamento che assume come meno favorevole rispetto a quello riservato a soggetti in condizioni analoghe, deducendo al contempo una correlazione significativa tra questi elementi, mentre il datore di lavoro deve dedurre e provare circostanze inequivoche, idonee ad escludere, per precisione, gravità e concordanza di significato, la natura discriminatoria della misura litigiosa". In altri termini, il lavoratore deve provare la necessità degli accomodamenti ragionevoli, mentre il datore di lavoro deve dimostrare chiaramente perché non può adottare tali accomodamenti.
Infine i Giudici hanno ritenuto che le normative antidiscriminatorie devono essere interpretate alla luce della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.
Di conseguenza, in ambito lavorativo, il rifiuto dell'accomodamento ragionevole rappresenta una vera e propria discriminazione.
In particolare nella sentenza si legge che la violazione dell'obbligo di adottare accomodamenti ragionevoli, sancito, in attuazione di obblighi derivanti dalla normativa dell'Unione europea, si traduce nella violazione di doveri imposti per rimuovere gli ostacoli che impediscono ad una persona con disabilità di lavorare in condizioni di parità con gli altri lavoratori, realizzando così una discriminazione diretta.
Inoltre, in base a quanto previsto dal D. Lgs n. 62/2024, la facoltà della persona con disabilità di richiedere l'adozione di un accomodamento ragionevole, con conseguente diritto di partecipare alla sua individuazione, riflette il carattere vincolante dell'obbligo di accomodamenti ragionevoli, il cui rifiuto costituisce un atto discriminatorio.
Concludiamo questo commento con una precisazione molto importante. Le sentenze della Corte di Cassazione non sono delle leggi. Le sentenze fanno stato solo tra le parti della causa, pertanto i suoi effetti possono ricadere solo tra gli attori della specifica controversia. Di conseguenza questa sentenza non può essere applicata automaticamente ad altri rapporti di lavoro. Ovviamente le sentenze della Corte di Cassazione possono fare Giurisprudenza e quindi possono orientare le decisioni dei Giudici nelle singole cause.