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Kaleîdos

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Numero 16 del 2025

Titolo: «Togliamo alle donne il diritto di voto»

Autore: Silvia Grilli


Articolo:
(da «Grazia» n. 37-38-2025)
Ho smesso di domandarmi perché, quando una donna parla di argomenti cosiddetti «seri», non l'ascolta nessuno, mentre quando ne discorre un uomo pendono tutti dalle sue labbra. Non me lo chiedo più, perché ho capito. Lo fanno regolarmente anche con me, quando scrivo. Pensano che io sia legittimata a trattare di reggiseni e altre intimità, ma non di politica. Mi insultano perché uso la mia voce senza esserne autorizzata: sono una donna e perciò irrazionale, poco lucida, molto emotiva. Per riassumere: non qualificata.
La diseguaglianza impartita dal patriarcato («Ancora con questo patriarcato?», dirà qualcuno. Sì, ancora) comprende anche la disparità sul piano della credibilità: il monopolio della ragione spetta agli uomini. D'altronde a noi non credono neppure quando segnaliamo che qualcuno sta cercando di ucciderci. Il risultato è che non ci proteggono, come la madre di sei figli che aveva denunciato l'ex marito, ma è stata accoltellata a morte da lui nella villa dove lavorava. Il braccialetto elettronico non funzionava? Pazienza, una in più o in meno nell'ennesima estate dei femminicidi.
Qualche giorno fa, a Milano, ho telefonato al 112 perché ho visto un uomo spingere e strattonare violentemente una donna per strada, costringendola a tornare a casa contro la sua volontà. Quando ho protestato, dicendogli di lasciarla stare, ha fatto il gesto di tagliarmi la gola, per avvertirmi che mi avrebbe decapitata se insistevo. Mi ha urlato: «È mia moglie», come se per questo motivo fosse di sua proprietà e potesse farne ciò che voleva. Ho girato un video e l'ho fatto vedere ai carabinieri, quando sono arrivati. La loro prima reazione non è stata: «Quell'uomo è un violento, va fermato prima che sia troppo tardi», ma: «La signora non sembra molto in sé». Ci rendiamo conto?
Anche quando denunciamo violenze sessuali, il più delle volte obiettano che esageriamo, che siamo delle pazze, vendicative, deliranti, manipolatorie. Si cerca di demolire la realtà di cui siamo testimoni per proteggere gli uomini, i loro privilegi, e continuare a sostenere che la violenza sessuale è rarissima, mentre moltitudini di donne inventano false accuse per distruggere i maschi e portare loro via i soldi.
Adesso il ministro della Difesa di Donald Trump, Pete Hegseth (uno che avrebbe pagato 50 mila dollari per tacitare una donna che l'aveva accusato di violenza sessuale) condivide l'idea delirante di un gruppo integralista evangelico cristiano: le femmine non devono votare. «Nella mia società ideale», sostiene il pastore Doug Wilson che piace tanto a Hegseth, «il capofamiglia si siede e discute con i componenti del suo nucleo domestico, poi va a votare a nome di tutti». D'altronde lo stesso pastore afferma che le donne sono «quegli esseri da cui escono i nascituri e non c'è bisogno di talento per riprodurre biologicamente degli esseri umani». Insomma, fare figli è il nostro unico immeritato scopo nella vita, e le mogli devono sottostare ai loro mariti. Il ministro di Trump è d'accordo.
Vi sembrano aneddoti lontani e di poca importanza che rimarranno lettera morta? A me no. Non bisogna sottovalutare quando dei leader normalizzano la diseguaglianza di genere. Le dittature non arrivano all'improvviso. ma con provvedimenti spacciati per ordine e tradizione. Davano delle «isteriche» alle femministe americane, quando mettevano in guardia dal pericolo che i conservatori avrebbero cancellato la libertà di abortire o limitato il diritto al controllo delle nascite. Ma le «isteriche» ci avevano visto giusto. Mi raccontano amici ambasciatori che, per non dispiacere a Trump, nelle organizzazioni internazionali non vengono più usate nei documenti parole come «femminismo», «donne», «inclusione», «genere». Vedete voi...
D'altronde viviamo in un mondo che tramanda nomi di uomini in piazze, strade, ponti, parchi, chiese. Per millenni siamo state condannate a non esistere e a non essere ricordate. Solo in pochi posti della Terra le donne hanno avuto diritto di voto prima del Ventesimo secolo. Siamo state abituate a non contare o, peggio ancora, a limitarci a dire cose che non contano niente.
Insistiamo per avere una voce e, soprattutto, essere ascoltate.
Silvia Grilli



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