Numero 16 del 2025
Titolo: Io, devastata dalle molestie di un prof
Autore: Benedetta Sangirardi
Articolo:
(da «F» n. 35-2025)
«La prima volta mi ha guardato il seno. Più mi avvicinavo alla cattedra, più gli occhi del prof insistevano sullo stesso punto e il mio imbarazzo cresceva a ogni passo». Una studentessa modello, un insegnante affascinante e carismatico, sguardi e gesti che non dovrebbero entrare in un'aula di università: sembra la trama di «After the Hunt», il film di Guadagnino presentato a Venezia dove Julia Roberts ha lo scomodo ruolo di «arbitro» fra due verità contrastanti, ma è una storia vera accaduta in Italia.
In «After the Hunt» di Luca Guadagnino, Maggie, studentessa universitaria (Ayo Edebiri, 29), accusa di molestie sessuali l'insegnante Hank (Andrew Garfield, 42), che la controaccusa di vendetta per averla sorpresa a copiare una tesi. Julia Roberts è Alma, professoressa dell'Ateneo, lacerata tra la sorellanza con lei e il rapporto di affetto con lui.
La storia di Laura.
Laura studia Ingegneria in un'università del Sud, ha gli occhi chiari ma a impressionare è la lucidità della mente con cui snocciola una cronologia dettagliata degli eventi, ricordi nitidi che si susseguono precisi, indiscutibili. Dice che ha un'ottima memoria fotografica, ricorda tutto come se scattasse di continuo immagini che si imprimono nella mente: «Una cosa che mi ha sempre aiutata nello studio, ma che in questo caso forse è stata una disgrazia, preferirei dimenticare tutto».
Viene da un paesino dell'entroterra dove tutto è lento, familiare. È una studentessa esemplare, timida ma determinata. «Il professore teneva uno dei corsi più seguiti del terzo anno. Carismatico, elegante, con la fama del docente geniale. Quando parlava in aula, catturava l'attenzione di tutti. Ne ero affascinata, come tanti altri. Ma dopo poche settimane, ho iniziato a notare piccoli scarti nel suo comportamento».
Nel corso delle lezioni, sempre più spesso, il docente rivolge domande solo a Laura, complice, pensa, il fatto che più volte abbia risposto correttamente. «Girava per l'aula e si avvicinava più del necessario. Un giorno con un sorriso ambiguo ha detto: «È raro trovare una ragazza brillante e bella. Sono certo che sai come usare entrambe le doti». I miei compagni di corso ridacchiavano, io sono rimasta immobile, mi sentivo morire per il disagio».
Vieni a cena?
I messaggi cominciano un venerdì sera. «Gli avevo inviato la mail con la tesina di metà corso, ha risposto con alcune note e una frase finale: «Sei un'ottima studentessa, dovresti scegliere me come relatore per la tesi. Magari ne parliamo meglio davanti a un buon piatto, ho in mente un ristorante vicino all'università».
Laura per la prima volta ha paura, non sa dare un nome a quello che sta accadendo ma sa che nulla rientra nella prassi della relazione studentessa-docente. Non risponde alla mail e il lunedì successivo, a lezione, il prof la ignora. Quando chiede una spiegazione, lui la interrompe bruscamente. «Era chiaro che non gli era piaciuto il rifiuto».
Nel tempo le allusioni diventano esplicite. La ferma dopo le lezioni, la guarda con insistenza, si avvicina più del dovuto, le prende il braccio, lo accarezza, un paio di volte le sfiora il seno: «Hai mai pensato a quanto può essere importante un buon rapporto con un docente? Soprattutto per chi vuole proseguire con la magistrale».
Se non ci stai ti boccio
Ora si sente in trappola e ogni volta che entra in ateneo le si blocca il respiro, inizia a fare incubi e non dormire la notte, sa che si tratta di molestie, di ricatti. Piange, non esce più di casa, la sua vita si riduce alle quattro mura di una camera in una casa condivisa con altre della sua età.
Dopo alcune settimane, si apre con un'amica che studia psicologia, e che le consiglia di rivolgersi a una tutor dell'ateneo. «Ho preso coraggio e ho fermato la tutor in corridoio, mi ha risposto: «So che ha modi discutibili, non sei la prima. Ma ti conviene evitare scontri, è potente qui».
Alla fine del semestre, Laura si iscrive all'appello dell'esame. «Sentivo di doverlo affrontare, volevo andare avanti e passare all'esame successivo. Sono entrata nell'ufficio con le mani sudate, le gambe rigide. Mi ha fissato per qualche secondo: «Finalmente. Pensavo avessi paura di me». L'esame dura pochi minuti. Nonostante abbia studiato, non riesce a parlare: «Ogni frase che pronunciavo mi si spezzava in gola. Mi ha bocciata, dicendo che non ero preparata, ma che avrebbe potuto darmi qualche lezione privata per farmi passare l'esame. Sono uscita tremando, in preda al panico».
Nessuno mi crederà
Laura si blocca, uno stop emotivo che non le permette di andare avanti: molla l'università. I genitori vanno a trovarla, cercano di capire ma invano, lei resta in camera, al buio, in silenzio. «Una sera facendo ricerche mi sono imbattuta nel blog anonimo di un'ex studentessa che raccontava di molestie accademiche. Per la prima volta non mi sono sentita sola, ho iniziato a scrivere quello che mi era successo, esaminando ogni episodio con più consapevolezza, ho iniziato a capire che non ero io quella che si doveva vergognare. Dopo qualche giorno sono tornata in università. Le gambe mi tremavano, avevo anche perso parecchio peso, ma sentivo che dovevo farcela».
Si rivolge allo sportello di ascolto psicologico per studenti, ma presto capisce che ha bisogno di un supporto più audace, un percorso con una terapeuta che le permetta di rielaborare quello che definisce, mentre la voce si spezza, «un vero incubo». «Non ho mai avuto il coraggio di denunciare il prof, per paura di non essere creduta, per il senso di colpa, ma con il tempo ho capito che la mia storia non è isolata. Sono passati due anni, ancora oggi sono in terapia, mi aiuta a ricostruire la fiducia in me stessa. Niente è più come prima, ma un passo alla volta cerco di andare avanti, voglio finire la specialistica. Lo scorso anno, parlando in una riunione autogestita, per la prima volta ho raccontato quello che mi è accaduto. È stato liberatorio».
L'unione fa la forza
Qui, Laura sente parlare del collettivo Mai più zitte, una rete di studentesse e attiviste nata per combattere la violenza di genere in ambito accademico. Dopo alcuni casi emersi, il collettivo ha guadagnato visibilità e voce, si è diffuso in diversi atenei con l'obiettivo di denunciare il problema sistemico delle molestie.
«Oggi ne faccio parte anche io, e so che il fenomeno è ben più diffuso di quanto si immagini: un'indagine della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane ha fatto emergere dati su abusi, molestie e violenze di genere, 243 segnalazioni sono state raccolte solo tra marzo e novembre 2024. Diverse università si stanno attrezzando con sportelli di ascolto e servizi di aiuto alle vittime. So che non denunciare è un errore, non ne ho avuto il coraggio, ma ora voglio trasformare il silenzio in impegno. Nessuno deve toglierci il diritto di studiare, di vestirci come vogliamo, di seguire le nostre passioni».
Benedetta Sangirardi