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Corriere dei Ciechi

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Numero 2 del 2001

Titolo: Un lago placido, una tempesta improvvisa, una donn

Autore: Renato Mastronardi


Articolo:
LETTURA

Fosca

Un lago placido, una tempesta improvvisa, una donna

di Renato Mastronardi

Le onde del lago venivano sì da lontano, ma il loro assalto sembrava apprensivo e selvaggio più di altre volte. Cavalcavano la distanza dalla spiaggia e si accavallavano con impeto eccessivo. Sotto l’ombra oscura delle nuvole le acque del lago assumevano, di volta in volta, le fosche tonalità di una tempesta che cominciava a cadere improvvisa dal cielo. Una tempesta che, intanto, già navigava minacciosa in direzione del porticciolo dove, le barche dei pescatori, danzavano schiaffeggiandosi e alimentando così le preoccupazioni dei piccoli proprietari. Soprattutto perché, questi, si sentivano appesi all’amo di speranze sempre più esili data la crisi, ormai certa, di un mercato e di un commercio che, da troppo tempo, non trovavano più i clienti di una volta. E, ancora di più.

L’apertura della caccia

Quella tempesta, straordinariamente insolita per la stagione in corso che in altri tempi - dicevano - sarebbe stata sicuramente più fruttuosa. Ora, invece, quelle nuvole basse che veleggiavano sullo specchio d’acqua, rumoreggiavano l’urlo di una tempesta che, come mai prima, minacciava una voglia di vendetta - ma contro chi? - per l’acqua alta che allagava i tratti più lontani della riva; oltre gli argini naturali, dopo aver superato quelli artificiali. Per questo, dapprima, i pescatori preferirono mantenere le barche all’asciutto, in attesa di una sospirata bonaccia.

Intanto, si era giunti ai primi giorni del mese di settembre e s’era aperta la stagione della caccia. Giunsero anche molti cacciatori nonostante che i pescatori avvertissero: "quando è così il lago porta sfortuna". Allora, una selva di doppiette sparò a salve in cielo, per scaramanzia, ed i cacciatori si prepararono alla "posta", che è il luogo in cui essi si fermano per "appostare" la selvaggina. Pronti alla "punta" per cogliere, in acqua o in volo, le starnazze del lago, le grasse acquaiole, le anatre selvatiche che volano sempre basse, le folaghe.

La partita di caccia si aprì nel biancore algido di un mattino che stentava a chiarirsi per la nebbia troppo bassa e fitta. Di solito questo accadeva quando, all’inizio dell’autunno plumbeo e piovigginoso, la palude anticipava di molto l’inverno. Ciononostante i cacciatori occuparono le rispettive postazioni ed i capanni. Altri si sistemarono su barchini di vimini, intessuti di canne e di giunchi. Intanto, anche se molto lentamente, a stracci sfilacciati, la nebbia cominciò a diradare e lo specchio d’acqua, all’improvviso, si schiarì e l’azzurro delle onde riflesse un cielo meno grigio e meno coperto dai residui dei cirri.

Dalla foschia a una barca

Fu allora che, quasi al centro della palude, apparve una piccola zattera di quella specie che i pescatori di frodo usano per sfuggire alla Guardia di Finanza. La barchetta andava alla deriva senza una guida, senza la spinta di un remo, rassegnata al capriccio delle onde e della corrente.

Tra la foschia, ancora più rada, si intravedeva a bordo, ritta accanto ad un albero di fortuna, la sagoma di una donna tutta vestita di bianco.

Quando la giovane donna fu più vicina, uno dei cacciatori gridò agli altri: "Ma è la Fosca".

La Fosca, una ragazza dalle forme piuttosto vistose, s’era ritrovata al centro del cicaleccio pettegolo delle comari del paese dal primo giorno in cui aveva accettato di accasarsi, come governante tuttofare, presso il signore più chiacchierato del piccolo centro toscano. Più chiacchierato per il suo passato di donnaiolo impenitente, ma che, tuttavia, era pur sempre il più ambito dei partiti. Anziano, lui, ma non vecchio ed ancora in grado di inseguire le gonne più malandrine di fantesche e contadine che componevano l’allegro pollaio delle sue vaste tenute.

Un giorno, ma erano già mesi che la Fosca accudiva il suo padrone, in paese si sparse la voce: "L’è incinta". Altri dissero: "Ma no, è troppo presto".

Sta di fatto, però, che Fosca non si vide più attraversare la piazza come quando soleva fare la spola tra il negozio degli alimentari, il vinaio ed il tabaccaio.

Invece, riapparve alla vista dei cacciatori e dei pescatori, quella mattina in cui le acque del lago fabbricavano nebbia ed umidità. E la videro lasciarsi affogare in quella zona del padule ch’era la più profonda, mentre scompariva accompagnata soltanto dal murmure lento e solenne della risacca.

La ripescarono solo al tramonto e la accompagnarono direttamente al cimitero senza il crocifero della parrocchia e senza il rintocco di una campana.

Per tutti era morta dannata.



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